Mandi una mail con i tuoi slot disponibili e ti rispondono il giorno dopo quando nello slot hai già fissato un’altra call. Peggio ancora se fissare un meeting con più persone, mettere d’accordo tutti diventa un incubo. E se poi bisogna spostare una call già fissata? Disastro totale.

E allora vediamo insieme se Tidycal può farci gestire meglio i nostri meeting, online, ma anche in presenza.

I problemi più frequenti nella “prenotazione” di un meeting

Prenotare un meeting che sia online o in presenza, spesso si trasforma in un incubo. Perdite di tempo incredibili, telefonate a profusione, per non parlare del momento in cui bisogna riprogrammare l’evento. E poi abbiamo sempre la tendenza a non saper dire di no con l’aggravante di dover coordinare tanti calendari della nostra attività professionale, ma anche della nostra vita privata.

Tradotto in parole povere, il rischio concreto è perdere fatturato per colpa di un lavoro scarsamente organizzato.

La soluzione ideale per chi vuole l’essenziale

Tidycal è una scelta che privilegia praticità, semplicità e immediatezza. Sono convinto che se devo inserire un nuovo tool nella mia quotidianità e questo richiede metà delle mie energie solo per capire come integrarlo e come usarlo… allora ho sbagliato tool.

Tidycal invece fornisce tutti gli strumenti necessari nel 90% dei casi, ma con la semplicità di utilizzo che tutti vorremmo in ogni applicativo che acquistiamo. Ah, sì. DImenticavo. E’ in licenza lifetime a 30 dollari. Insomma, lo paghi una volta e poi zero pensieri.

E allora facciamo insieme una carrellata sulle caratteristiche più importanti di Tidycal.

  • Competitor: ce ne sono tantissime nel mercato, ma questa è la killer app per tutti quelli che cercano semplicità e rapidità. Disporre di tantissime funzioni, spesso è controproducente perché dobbiamo orientarci in mezzo ad una marea di link e pulsanti.
  • Modello “Apple”: usare Tidycal ti dà quell’effetto “tranquillità” di non poter sbagliare qualcosa o di restare imbrigliato in qualche impostazione errata. Quello che c’è ti basta e funziona. Il resto è tutto in più. 
  • Pagamenti: con Tidycal possiamo scegliere se far prenotare un meeting insieme a noi senza nessun costo o se richiedere un pagamento mediante Stripe. Questo significa che un professionista o un consulente potrebbe già lavorare e incassare il suo compenso con un solo tool.
  • Integrazione: ovviamente possiamo integrarlo con i più importanti calendari come Google oppure Office365, scegliendo in quale calendario andranno inserite le prenotazioni e in quali invece controllare le disponibilità di tempo.
  • Diversi tipi di meeting: possiamo creare tanti tipi diversi di riunioni in base all’orario, al costo, alla durata e ad altri parametri. Quindi potremmo avere un link di prenotazione per i clienti, per i fornitori, per i partner e via così.
  • Widget: non poteva mancare un widget da integrare direttamente sul nostro sito web o su una pagina dedicata per una personalizzazione molto più spinta delle informazioni.
  • Notifiche: c’è una gestione semplificata delle notifiche che i partecipanti dovranno ricevere. Per esempio un’email il giorno prima e un’altra un’ora prima del meeting.
  • R-programmazione: se c’è da spostare o annullare un meeting è decisamente più facile grazie ad un link dedicato e una comoda pagina dove scegliere un altro slot.
  • Branding: si può personalizzare con il proprio logo e i colori del brand. Non c’è moltissimo da fare, ma anche in questo caso l’essenzialità premia senza tante diavolerie grafiche.
  • Costo: l’ho già detto, ma lo ripeto. Licenza lifetime, quindi paghi una volta e fine. Su questo punto direi che è imbattibile.
Ascolta “Organizzare e prenotare i meeting senza pensieri con Tidycal” su Spreaker.

Tips&tricks per usare tidycal al meglio

Considerazioni, consigli e piccoli tips per usare Tidycal e vivere felici.

  • Siamo tutti più abituati alle videocall, ma non così abituati. La tendenza a “fare la telefonata che si fa prima” c’è ancora. Uno strumento come questo può rendere l’attività del “meeting” perfino più divertente.
  • Usare un tool di questo tipo è affascinante, ma anche vincolante e nelle nostre giornate a volte siamo convinti di essere più pratici con un messaggino. Dobbiamo insistere, insistere, insistere. Con il nostro interlocutore, ma anche con noi stessi.
  • Creiamo link di prenotazione per ogni evenienza più magari qualcuno maggiormente generico che ci aiuteranno a rispondere alle esigenze più specifiche, ma anche a quelle delle persone meno pratiche.
  • Creiamo un link di prenotazione da mettere nella mail. Tanto se di solito ci mettiamo telefono, whatsapp e chissà cos’altro, un link per i meeting male non farà.
  • Giochiamo con attenzione con gli orari. Potremmo suddividere i clienti per fasce di priorità per riservare orari specifici.
  • Diamo un nome sensato e sufficientemente complesso ai diversi link sia perché siano gradevoli, ma anche perché non siano proprio rintracciabilissimi.
  • Invece di affidarci alla pagina di conferma generica offerta da Tidycal, creiamo una thank you page tutta nostra all’interno del nostro sito web. Può diventare uno strumento di marketing potentissimo.
  • Non smettiamo di sperimentare. Se troviamo un nuovo tool, guardiamo le caratteristiche e se qualcosa è veramente un game changer per il nostro business allora migriamo. Ma occhio a non cadere nell’effetto wow. Non sempre tanto equivale anche a bello…

Siae litiga con Meta e manca poco che solo in Italia non ci sia più musica nei social. Agcom tenta di bacchettare gli sms truffa, ma si dimentica dei call center. Il Garante privacy fa una personale crociata contro ChatGPT. Musk fa visita in Francia per una potenziale Gigafactory, ma non viene in Italia. E’ chiaro che abbiamo un problema culturale, di approccio all’innovazione, alla tecnologia e alla crescita.

Ma è ancora possibile invertire questo processo autodistruttivo?

UN’ITALIA CHE CONSIDERA IL DIGITALE “ROBETTA DI POCO CONTO”

L’approccio al mondo digitale sembra non sia qualcosa a misura di Italia. Incredibilmente riusciamo ad arrivare tardi sulle nuove tecnologie e in molti casi addirittura a subirle con una sorta di autolesionismo.

Intendiamoci, ci sono tantissimi casi virtuosi e di certo una bella parte di italiani ha ben compreso l’importanza dell’innovazione tecnologica rispetto al concetto di crescita della nazione.

Ma c’è una brutta parte di istituzioni che invece propende sempre all’autodistruzione. All’autolesionismo. Credo che il motivo sia una sorta di convinzione di essere intoccabili, onnipotenti, dei “faraoni” da osannare e assecondare a testa bassa.

Faccio qualche esempio di tragi-cronaca a tema innovazione tecnologica che ci ha accompagnati, solo nelle ultime settimane. Credo che se andassimo indietro addirittura di mesi, si aprirebbe il vaso di Pandora e non è questo lo scopo di questa chiacchierata.

CASO META VS SIAE

La cronistoria è semplice. Il giorno prima del rinnovo del contratto per i diritti di utilizzo dei brani musicali, Siae ha ben pensato di aumentare le proprie richieste. L’epilogo, noto a tutti, è stata l’eliminazione della musica dalla più grande piattaforma social del mondo. Ora si sta di nuovo trattando, ma il concetto di base è sempre lo stesso. 

Non si può pensare che le big tech siano dei bancomat. Va benissimo pretendere che paghino quanto dovuto (tasse in primis), ma sono comunque aziende e come tali vanno considerate anche al tavolo della trattativa. Sedersi battendo i pugni sulla scrivania e pretendere perché “tanto io ho il coltello dalla parte del manico” è una grandissima cavolata. Se è vero che questo tipo di aziende hanno bilanci incredibilmente alti, è altrettanto vero che mercati come quello italiano sono ormai a malapena “interessanti”.

Quindi davanti all’arroganza, la risposta potrebbe tranquillamente essere “signori, al vostro gioco non ci stiamo, arrivederci, è stato un piacere”. Con una conseguente figuraccia mondiale e un danno a effetto boomerang senza precedenti.

Ascolta “Un'Italia competitiva nel digitale è veramente possibile?” su Spreaker.

CASO CHATGPT VS GARANTE PRIVACY

Ma sul serio? Ma veramente? Unici nel mondo a bloccare una tecnologia per problemi di privacy? La prima volta in cui ho letto la notizia pensavo fosse uno scherzo. O almeno ci speravo.

I timori per la privacy possono anche essere condivisibili, ma allora facciamoci un ragionamento corale europeo. A cosa serve la solitaria crociata italiana se non a impedire che qui si possa sperimentare un’incredibile innovazione? Con l’effetto di restare indietro e perdere competitività.Tutto questo, tra l’altro, per poi fare un parziale passo indietro. Prima di pensare alla privacy dei smaliziati utenti di ChatGPT direi che sarebbe importante far funzionare, per esempio, il registro delle opposizioni che dovrebbe tutelare anche le persone indifese e più esposte e invece rischia di essere un flop totale e annunciato.

CASO AGCOM VS PHISHING

Detta in parole semplici, visto l’aumento esponenziale di truffe nei servizi energetici, il mittente non potrà usare alias che non siano autorizzati. Insomma, non si potranno usare nomi che riconducano a famose società come ad esempio PosteItaliane per evitare le classiche truffe di phishing.

Tutto condivisibile ovviamente, ma viene da chiedersi perché un provvedimento del genere non sia già attivo e soprattutto perché servirà (secondo le stime) almeno un anno per renderlo operativo.

Tanto più che sicuramente i criminali nel frattempo studieranno tecniche differenti. E di nuovo, non sarebbe il caso di risolvere una volta per tutte il mancato funzionamento del registro delle opposizioni che senza dubbio è molto più impattante nel tutelare gli utenti?

MUSK “VOLA” IN FRANCIA

Quando citiamo i nomi di imprenditori internazionali famosi associati all’Italia, caso strano, lo facciamo perché sono venuti in ferie nel bel paese. Bellissima cosa, per carità. Ma ogni tanto sarebbe utile sapere che l’Italia viene considerata come un importante motore per il lavoro e una fucina per l’innovazione. Nei giorni scorsi Elon Musk ha fatto visita all’Eliseo, sembra, per un progetto in corso che dovrebbe far sorgere una nuova Gigafactory.

Bene per i francesi, male per noi. Stando alle statistiche abbiamo zone della nostra nazione (soprattutto al sud) dove il clima favorisce alla grande la produzione fotovoltaica. Allora perché Musk non ci prende in considerazione?

PRIMO STEP, SMETTERE DI LITIGARE PERCHE’ NON C’E’ NULLA DA DISCUTERE

Se vogliamo tornare competitivi e soprattutto appetibili dobbiamo prima di tutto smettere di strumentalizzare tematiche come quelle legate all’innovazione e alla crescita. Non è nemmeno pensabile che ci possano essere due posizioni fortemente contrapposte davanti ad un’opportunità di sviluppo, peraltro ad alta sostenibilità.

Dobbiamo dimostrare che la nostra nazione è terreno fertile per le trattative imprenditoriali. Piuttosto, affermando all’unisono che chiediamo una forte inclinazione alla sostenibilità e alla tutela del lavoro.

Invece di perdere tanto tempo in ridicole iniziative portate avanti da vetuste istituzioni pachidermiche e sconnesse dalla realtà, è decisamente il caso di ridurne drasticamente i costi per concentrare le risorse dove realmente servono. Il processo di digitalizzazione di un paese non è una velleità fine a sé stessa.

SECONDO STEP, CONCENTRARE ENERGIE E SFORZI

Per prima cosa dobbiamo credere nel digitale e ascoltare di più le nuove generazioni. Ma ancora più importante dobbiamo sedare sul nascere le dispute dei politicanti che usano la comunicazione per indurci al litigio.

La strategia è sempre la stessa: accusare la parte opposta di qualcosa per far leva sulle emozioni di una parte di popolazione. Naturalmente l’altra parte farà la stessa cosa, in un teatrino che a ben vedere sembra combinato a tavolino.

Quando vediamo una discussione “distruttiva” sul digitale, ignoriamola. Non condividiamola. E se la discussione è “dal vivo”, fermiamoci e portiamo il nostro interlocutore a parlare d’altro. A concentrarsi sulla parte maggiormente informativa di una nuova tecnologia.

La vera cura contro la comunicazione malvagia è sempre la stessa da migliaia di anni: la formazione e l’accrescimento culturale.

Dobbiamo studiare, imparare e applicare. Per costruire insieme, un’Italia ai vertici mondiali, anche nel digitale.

Dire addio alle password, all’autenticazione in due fattori e a qualsiasi altro sistema complicato per accedere ai propri account. Non è fantascienza, è realtà e si chiama Passkey.

ELIMINIAMO LE PASSWORD

Ciao a tutti e bentornati. Oggi parliamo di Passkey, ovvero dell’ultimo ritrovato tecnologico che ci permetterà di risolvere l’annoso problema legato all’accesso a qualsiasi servizio che richieda una password.

Tutti, ma proprio tutti, abbiamo sicuramente avuto problemi con le credenziali di accesso. Nel peggiore dei casi siamo stati “bucati” da qualche hacker che è riuscito ad entrare nel nostro home banking o peggio ancora, è riuscito ad usare gli accessi dei nostri clienti che avevamo salvato (magari in un file di Excel).

Ma più banalmente, senza pensare ai casi più disperati, ci siamo dimenticati di qualche password e per recuperarla abbiamo intrapreso un calvario infinito ritardando l’utilizzo dei servizi che ci servivano.

Ultima ipotesi, giusto per completare la panoramica sul problema, siamo costretti a salvare centinaia (se non addirittura migliaia di password) tutte diverse e con sistemi che hanno dato fondo alla nostra inventiva.

Piccolo aneddoto tragicomico: le password più utilizzate nel mondo sono “password” e “123456”.Ma oggi non parleremo di come gestire correttamente le password (cosa che faremo in un’altra puntata). Oggi proveremo a guardare ad un futuro completamente privo di password. Un futuro che a ben vedere, è già un presente grazie alle Passkey.

USARE I DISPOSITIVI DI TUTTI I GIORNI COME PASSWORD

Come detto, il sistema di accesso tramite password è farraginoso. Dobbiamo farle difficili, lunghe, tutte diverse, non possiamo salvarle in chiaro, non possiamo scriverle da nessuna parte, ormai sono tantissime e potrei andare avanti all’infinito elencando altre criticità.

Se poi pensiamo all’autenticazione in due fattori, nemmeno in questo caso stiamo parlando di un metodo privo di problemi (anche se comunque è decisamente più sicuro). Ma soprattutto, è un sistema che indubbiamente ha complicato maggiormente le cose.

E fu così che nacque un’alleanza tra le principali aziende tech, chiamata FIDO con il compito di salvare il mondo dall’agonia dell’utilizzo delle password.

Ecco, momento poetico a parte, se ci pensiamo si tratta di un tema veramente trasversale per tutto il mondo: privati, aziende e qualsiasi nazione o etnia, in questo contesto, non fa differenza.

E’ nata quindi l’idea della Passkey, ovvero l’utilizzo del riconoscimento biometrico per accedere a qualsiasi servizio. Ovviamente senza password.

Ascolta “Emanuele Masiero – il podcast” su Spreaker.

COME FUNZIONA PASSKEY SPIEGATO SEMPLICE

Per farla veramente semplice, le Passkey sono costituite da una coppia di chiavi (una pubblica e una privata) che messe insieme assicurano la conformità dell’accesso. La chiave pubblica viene conservata nel server (naturalmente crittata) mentre quella privata è rappresentata dal nostro dispositivo (per esempio il nostro iPhone) che in qualche modo funge da password anche se in effetti una vera password non esiste.All’inizio può sembrare un concetto complesso, snervante o addirittura poco sicuro. La prima domanda che viene da farsi è: “ma quindi con il mio smartphone potrebbe entrare chiunque?”. La risposta è parzialmente si, ma per dare una risposta corretta vediamo insieme le fasi di utilizzo della Passkey e tutto sarà più chiaro.

LE FASI DI UTILIZZO DI PASSKEY

Primo step dobbiamo creare la Passkey. Per farlo basta semplicemente entrare nel sito web del servizio, inserire la nostra mail (che fa da nome utente) e praticamente abbiamo finito. Eh sì… avete capito bene. Non dobbiamo inventare la password.

Secondo step, quando dobbiamo accedere, inseriamo la nostra mail e gli diciamo di accedere con Passkey. Verrà fatto il rilevamento biometrico (impronta o face id) e il gioco è fatto. Basta. Finito.

L’unica variante la troviamo per accedere ad un servizio da un computer che non è il nostro. In questo caso inseriamo la nostra mail, scegliamo l’accesso con Passkey e ci verrà mostrato un qr-code da scansionare nello smartphone dove abbiamo le nostre Passkey. Sblocchiamo con il rilevamento biometrico e il gioco è fatto.

Quindi dove sta la falla?

Chi può sbloccare il nostro smartphone o altro dispositivo dove sono salvate le Passkey, allora può accedere a servizi e siti web.

Ma va detto che si tratta di un’ipotesi assolutamente remota e mille milioni di volte più improbabile rispetto alle tecniche attuali che invece permettono di rubare una password.

Inoltre va considerata l’estrema comodità di non avere per l’appunto, più nessuna password.

LA COMPATIBILITÀ DI PASSKEY

Il mio non è un video tutorial anche perché se ne trovano tantissimi in internet. Però due parole sulla compatibilità le spendo. Per fortuna, nella famosa alleanza citata in partenza, ci sono tutti i big come Apple, Microsoft e Google. Quindi la compatibilità sui dispositivi è già enorme. Tanto per essere chiari, le Passkey funzionano sia su Android che su Apple. Attualmente sono ancora pochissimi i siti e i servizi che permettono di usarle, ma è prevista una diffusione su larghissima scala in breve tempo.

Giusto per dire, possiamo già accedere al nostro account Google tramite Passkey.

LA MIA ESPERIENZA CON PASSKEY

Come sapete sono un gran sostenitore dei “password manager”, ovvero gli applicativi che permettono di salvare in modo sicuro tutte le password. Ma ho voluto provare subito questa nuova tecnologia. Per fare la mia sperimentazione ho scelto di attivare Passkey sul mio account Google privato dove solitamente uso Gmail e Google Drive.

Devo dire che la semplicità è disarmante. Talmente tanto avermi trasmesso qualche istante di spaesamento. Per qualche minuto mi sono fermato a riflettere sulla sicurezza di questa soluzione. Perché il primo pensiero è “cavolo, se non ho scritto una password difficile, sicuramente starò sbagliando qualcosa”.

Giusto per descrivervi la sensazione, ho provato la stessa angoscia del momento in cui i documenti hanno iniziato a salvarsi da soli. Vi ricordate quando bisognava fare file e poi dare il comando salva altrimenti arrivederci a ore e ore di lavoro? Quando improvvisamente con il cloud abbiamo abbandonato questa necessità, abbiamo tutti passato qualche momento di apnea. Poi però ci siamo abituati. E chi tornerebbe indietro?

Ora che per accedere a Google non devo più ricordarmi una password molto difficile (e nemmeno di cambiarla) devo ammettere che ogni volta la mia esclamazione è “finalmente!”.

USA ANCHE TU PASSKEY E FATTI TROVARE PREPARATO

Il mio consiglio finale? Attivate Passkey in qualche servizio dove è già operativa e iniziate ad utilizzarla. Sono convinto che a breve la sua diffusione sarà massiccia per i suoi innumerevoli benefici sotto il profilo della sicurezza e della praticità d’uso.

Trovarsi magari tra un anno e doverla attivare in blocco su tantissimi servizi potrebbe essere traumatico. Se invece si procede progressivamente diventa certamente più facile.

A questo punto soluzioni come 1Password non serviranno più? A mio modo di vedere serviranno ancora. La sicurezza, soprattutto nell’ambito aziendale, non è uno scherzo e va presa con estrema serietà. Proprio 1Password ha infatti annunciato che da giugno daranno il loro supporto alla Passkey.

Resta da capire però, se cambieranno il nome al loro brand o se resteranno fedeli alla parola “password” che per così tanti anni ci ha fatto compagnia nel bene e nel male.

E’ un classico. Vai al pranzo domenicale in famiglia e qualcuno ti guarda con fare circospetto e ti chiede “ma tu… che lavoro fai?”. Messa così si potrebbe pensare che sia una domanda cretina o meglio che l’interlocutore sia un boomer che non comprende bene il tuo mestiere da nativo digitale.

La realtà però è ben diversa perché raccontare cosa combina un consulente digitale o un esperto di marketing nella sua giornata lavorativa, senza scadere nell’effimero è estremamente complesso.

E allora provo a dirvi il mio mestiere, spiegato facile.

Il supporto alle aziende che vogliono digitalizzarsi

Ci sono una marea di aziende che hanno bisogno di aumentare il loro grado di digitalizzazione. Questo non vuol dire per forza che debbano entrare dentro tematiche complesse come l’industria 4.0 o altre similari.

Intendo più semplicemente attivare caselle email molto performanti, passare una parte di attività in cloud (come ad esempio l’utilizzo di alcuni file condivisi), migliorare la propria attività di branding (banalmente con un sito web responsive), uniformare le attività di comunicazione digitale passiva (come per esempio la firma nelle email) o anche temi leggermente più complessi come l’adozione di un CRM, non necessariamente per coprire ogni processo aziendale. Magari anche solo per gestire piccole pipeline di preventivazione e vendita di prodotti e servizi.

Fare marketing con continuità

L’errore più grande è associare il marketing ad una serie di azioni pensate per trovare clienti. Per aumentare il fatturato. Ecco non c’è niente di più sbagliato. Il “marketing” dovrebbe invece essere una costante. Un investimento che pianifichiamo anno dopo anno, senza nessuna interruzione, esattamente come mettiamo nel nostro piano economico le bollette.

Poi dovremmo discutere su cosa sia veramente il marketing.

Perché ho scelto la versatilità

Mi dicevano “non sei ne carne, ne pesce”. Se non sei verticale, allora non sei nessuno. Ecco, credo non ci sia nulla di più sbagliato. E’ proprio grazie ad un minimo di versatilità che aziende di piccole dimensioni possono approcciarsi più serene e più appagate ad un consulente digitale e di marketing.

Ovvio che non puoi fare tutto, ma i fondamentali ci devono essere. Magari affiancati a due caratteristiche importanti:

1. avere qualche verticalizzazione sulle tematiche che ci piacciono maggiormente

2. lavorare in team con altri professionisti per colmare i propri limiti

In questo caso ci viene incontro la definizione di profilo professionale a “T”. Dove effettivamente hai un’infarinatura generale su tenti temi e su alcuni invece sei completamente autonomo. Allora la domanda potrebbe essere “quanto approfondita dev’essere la nostra preparazione generale?”. Io uso un indicatore per non sbagliare. Mi sento sufficientemente soddisfatto quando su un tema ne so abbastanza per rendermi conto di non conoscerlo.

Questo perché meno sappiamo di un argomento e più ci sentiamo autorizzati a trattarlo. Mentre più sappiamo e maggiore sarà la nostra consapevolezza della vastità di argomenti da conoscere, portandoci a essere più prudenti e meno spavaldi.

Quale percorso di studi vale la pena scegliere

La prima risposta ovvia e scontata è l’università di marketing o qualcosa legato al digitale. Ma su questo argomento, mi spiace deludervi, sono un bastian contrario. Per me, se qualcuno decide di affrontare il percorso universitario, ha più senso scegliere qualcosa di collaterale.

Un esempio? Economia, magari con una specializzazione vicina al marketing. O addirittura psicologia. O ancora qualche facoltà legata alla comunicazione. Insomma, non per forza direttamente marketing.

Non che la ritenga un cattivo percorso di studi, ci mancherebbe. Ma studiare lo stesso argomento di cui sono appassionato e su cui dovrò lavorare lo vedo come una forzatura o addirittura un freno.

Se qualcosa ci appassiona lo studiamo alla grande da soli supportati da qualche corso. Ma di certo non ci servono 5 anni di università.

Pensiamo invece ad un marketer che è anche esperto di matematica o psicologia. Ecco, saprebbe analizzare dati con una potenza inaudita. Oppure potrebbe approcciarsi alle neuroscienze con estrema facilità.

Per quanto riguarda il tema marketing invece, ormai ci sono una buona quantità di academy veramente ben strutturate. Forse addirittura più reattive e pratiche rispetto ai percorsi universitari.

Perché è brutto fare consulenza digitale e marketing

Non sempre il nostro interlocutore è sufficientemente preparato e bisogna armarsi di grande pazienza per trasmettere concetti basilari e convincerlo su quale sia la strada più giusta.

Nel caso peggiore (capita molto spesso) abbiamo davanti qualcuno che ne sa talmente poco da credere di saperne. In questo caso dobbiamo addirittura smontare preconcetti terribilmente dannosi.

Il secondo aspetto che mi piace poco di questo mestiere è la mancanza di certezza sul risultato. O quantomeno di moderata certezza. Un po’ come un dottore specializzato in traumatologia che si vede arrivare in sala operatoria un paziente a causa di un incidente.

In questi casi applichi tutte le tue conoscenze, fai valutazioni più o meno approfondite, ma resta sempre una dose di variabilità che non puoi controllare. E vai a spiegare che non è colpa tua quando il risultato finale non è… diciamo… quello che tutti si aspettavano.

Perché è bello fare consulenza digitale e marketing

Credo che il primo aspetto sia la dinamicità e la potenzialità di un percorso di digitalizzazione o di marketing. Il risultato finale può essere veramente dirompente per il business dell’azienda. Può segnare una svolta epocale. E questo balzo in avanti è terribilmente emozionante per chi è attore principale nella pianificazione e nell’esecuzione della strategia.

Al secondo posto metterei la variabilità di questo mestiere. Non sei mai arrivato. Non puoi mai fermarti. Mi ricorda un po’ i tempi in cui scrivevo per un quotidiano come corrispondente locale. Il successo o la sconfitta duravano 24 ore. Poi eri di nuovo nell’arena per giocarti la tua battaglia. Anche qui non ci si può mai fermare.

Oggi lavori su Facebook o Instagram, ma domani potresti veder nascere il nuovo TikTok e doverti rimettere completamente in gioco in un’attività ciclica di formazione ed esperienza professionale sul campo.

E’ veramente un casino mettere d’accordo audio, luci e videocamere. Prima di riuscire a districarmi ho fatto acquisti di cui mi sono pentito e ho seguito corsi eterni troppo dettagliati.

Ma dopo qualche anno di sperimentazione posso dirlo: fare live o registrare video di qualità senza svenarsi è possibile.

P. S. evitate gli acquisti compulsivi, io mi sono giocato metà del mio budget

Introduzione

Fare live streaming o registrare contenuti video senza essere dei super professionisti, ma con un’ottima qualità è veramente possibile? E addirittura senza disporre di un budget incredibile? Assolutamente sì. E posso dirlo dopo aver fatto tantissime prove e… aver speso un capitale.

Ciao ragazzi e bentornati. Oggi affrontiamo questo tema per la prima volta, ma in futuro lo approfondiremo punto per punto perché mi capita sempre più spesso di vedere i due estremi.
Qualcuno che produce delle cose invereconde credendo che serva un capitale e troppe competenze per fare una cosa decente. Oppure altri che spendono veramente delle follie per ottenere comunque dei risultati mediocri.
E allora oggi facciamo una panoramica generale sugli aspetti più importanti.

Audio

La componente audio rappresenta le fondamenta di un buon video. Pensiamoci… un buon audio da solo ci permette già di usare la fantasia e di scatenare emozioni fortissime. Se poi ci aggiungiamo un bel video, diventa esattamente come prendere per mano l’ascoltatore e condurlo in un nuovo universo.
Ma se viene meno l’audio, tutto sembra morire e spegnersi.

Per raggiungere l’obiettivo è essenziale usare un microfono professionale. Ne esistono diversi tipi e i più diffusi sono: mezzo fucile, wireless, lavalier, da tavolo.

Luci

Senza la giusta luce anche la migliore delle videocamere può fare poco. Viceversa se abbiamo posizionato bene la nostra fonte luminosa, anche i sistemi di registrazione più modesti diventano perfetti per le nostre riprese.

Esistono diversi siti web che permettono di disegnare gratuitamente schemi di luce, ma personalmente credo che per un video corso, un podcast, una live o una videocall importante, lo schema migliore preveda una key light posizionata frontalmente a 30° circa, una rim light in posizione speculare e una back light di riempimento, magari rgb.

Videocamere

Una webcam non basta, c’è poco da fare. Le limitazioni tecniche e l’inferiorità delle lenti è incolmabile rispetto ad una videocamera semi professionale. Le ultime webcam costruite stanno facendo passi in avanti incredibili, ma siamo ancora troppo lontani e comunque il loro prezzo sta lievitando notevolmente.

Credo che il miglior compromesso resti la Sony ZV-1. Una vlog camera spettacolare sia per le riprese video che per piccoli servizi fotografici. C’è poco da dire perché rappresenta un prodotto completo di tutto per chi cerca alta qualità al giusto prezzo.

Accessori

In commercio si trova veramente di tutto, ma per me gli irrinunciabili sono quattro. Un braccio di supporto stabile e robusto in grado di sostenere la nostra attrezzatura senza pensieri. Poi non può mancare una sorta di stabilizzatore per le riprese con lo smartphone. Al terzo posto metterei un mini cavalletto flessibile per poter sfruttare qualsiasi punto di appoggio e infine credo vada citato un binario fotografico per poter fare b-roll incredibili.

Conclusioni

Ottenere contenuti audio-video di qualità non è facile, ma non è nemmeno impossibile. Credo che i piccoli segreti da applicare siano due.

Per prima cosa chiedere un aiuto a chi ci è già passato per risparmiare tantissimo tempo. Non sto parlando del supporto di un super video maker. E’ sufficiente farsi dare un po’ di dritte del mestiere per evitare gli errori più grossolani.

Secondo, dobbiamo convincerci che non basteranno 2-3 ore. Possiamo evitare di buttare soldi in attrezzatura inutile, ma prima di trovare il giusto feeling serviranno tanti test e pazienza. Costanza e pazienza. Se non avete voglia di metterci costanza e pazienza, non cominciate neanche.

Grazie per avermi ascoltato. Ci vediamo sul mio canale Telegram e… al prossimo contenuto! Ciao!

Finché cerchiamo di crescere, migliorare e creare… direi di no. Cambiare modalità o dover apprendere nuove competenze ci mettono nella condizione di essere fallibili.

Allora ben venga l’ansia. Non vorrei mai una vita piatta, passando le giornate a ripetere sempre le stesse cose. Però se ci liberiamo dalla smania di voler essere tuttologi, allora direi che quantomeno, potremo tirare un sospiro di sollievo e affrontare le nostre sfide con serenità.

Nel video parliamo di:

  • I tipi di ansia
  • Quando passa l’ansia
  • Non è colpa del contesto
  • Un racconto in radio

E ora, prima di salutarci, ricordatevi di seguire anche il mio canale Telegram o se preferite il mondo dei video c’è anche il mio account su TikTok. Trovate tutti i link qui sotto.

Grazie infinite per il tempo che mi avete dedicato. Ci vediamo al prossimo video!

La formazione è ormai una compagna per la vita. Non è una banalissima frase fatta. Se vuoi lavorare e sopravvivere, oggi è veramente così. Ma se fin qua siamo più o meno tutti d’accordo, resta il dubbio pratico subito successivo. Quanto bisogna studiare? Come bisogna studiare? E soprattutto… quanto costa?

P. S. due chiacchiere le ho fatte anche con Jacopo Matteuzzi di Studio Samo che un pochino di formazione nel digital marketing se ne intende.

Nel video parliamo di:

  • Facciamo il punto sulla Formazione
  • Nuovi paradigmi
  • La mia esperienza nel digitale
  • Formazione gratuita
  • Il parere di Jacopo Matteuzzi (Studio Samo)

E ora, prima di salutarci, ricordatevi di seguire anche il mio canale Telegram o se preferite il mondo dei video c’è anche il mio account su TikTok. Trovate tutti i link qui sotto.

Grazie infinite per il tempo che mi avete dedicato. Ci vediamo al prossimo video!

Almeno una decina di volte ho avuto una bella intuizione, ma non l’ho seguita. O meglio, ho cominciato, ma poi ho abbandonato per un milione di motivi. Salvo scoprire a distanza di mesi che sarebbe stato un ottimo investimento. Ecco perché ho deciso di parlare di costanza.

Come primo tema di rientro dalla pausa estiva ho deciso di affrontare l’argomento costanza e per farlo userò una specie di testimonial, ovvero Paolo Ambrosetti. Se già mi conoscete e seguite i miei contenuti sapete che Paolo è l’anchor man della Valigeria Ambrosetti, un negozio di borse storico del centro di Varese. Forse però non sapete che Paolo è anche una specie di retail-influencer (se vogliamo dargli una definizione). In pratica comunque produce una montagna di contenuti utili e simpatici in diversi canali web e social e questa attività gli ha dato tantissima visibilità nel corso degli ultimi anni.

Però torniamo all’argomento principale: cosa c’entra la costanza? Eh beh ragazzi, la costanza è tutto.

Quali sono le caratteristiche essenziali per creare contenuti?

E’ vero, servono competenze. Saper analizzare, progettare, sviluppare. Saper scrivere, conoscere il mondo del video e ancor di più quello dell’audio. Ma tutto questo è ancora un layer marginale. Una specie di strato della nostra pelle ancora troppo superficiale. Sotto c’è qualcosa di più.

Qualcuno potrebbe obiettare che senza pianificazione non si va da nessuna parte. Ed è verissimo per carità. Io sono un maniaco della pianificazione. Tanto per dire uso un CRM anche per gestire la spesa di casa insieme alla mia compagna. E se guardate il mio armadietto del bagno sembra quello dei classici film americani dei serial killer di CSI. Eppure nel corso del tempo, mi sono dovuto ricredere, scoprendo purtroppo che la pianificazione è ancora un altro layer marginale.

La costanza fa la differenza su tutto

La differenza la fa tutta la costanza. Quanto riesci a essere ritmico. Questo non vuol dire stressante o martellante. Non significa nemmeno semplicemente essere resistente o resiliente (buzzword che va di super moda). Per me la costanza è l’insieme di più caratteristiche, azioni e atteggiamenti con cui ognuno di noi deve scontrarsi.

In pratica credo che la ricetta segreta della costanza sia proprio vincere le nostre difficoltà e le nostre paure più profonde. Facciamo un esempio. Il mio incasinamento più grande per poter essere costante è iniziare. Ogni volta mi sembra impossibile, ma una volta avviato vado come un treno. Per altri invece il problema maggiore potrebbe essere guardare un obiettivo e parlare. Per altri ancora potrebbe essere l’esposizione ai commenti di altri utenti.

Insomma, ognuno di noi ha le sue “debolezze” che alla fine lo rendono IN-costante. Ti fanno perdere la costanza. Perdi il ritmo. E a quel punto ogni tuo sforzo perde significato come una catena enorme e massiccia che perde un anello.

Qual è la soluzione alla mancanza di costanza

Provo a dirvi la mia su come tornare ad essere costanti. Credo ci siano due aspetti fondamentali, validi per ognuno di noi. Il primo è darsi obiettivi credibili. Sta cosa che bisogna aprire una startup e “scalare” a tutti i costi, non l’ho mai capita. Ma a voi uno stipendio di 3-4 mila euro al mese fa schifo? Oggi se non dimostri di portare a casa 10.000 banane al mese non sei nessuno. E allora via con l’infinita ansia da prestazione. Dobbiamo riprenderci un lavoro che ci piace, spazio per la nostra cultura, spazio per i nostri affetti e spazio per la nostra salute fisica.

Il secondo aspetto è NON guardare gli altri. C’è sempre quello più bravo, più figo, più innovativo, più più più. A parte il fatto che a volte siamo noi i più bravi e neanche ce ne rendiamo conto. Ma in ogni caso, siamo poi così sicuri che dietro la maschera del content creator di turno ci sia sostanza? In questi ultimi 3 anni ho conosciuto tantissime figure di spicco del web e dei social. Figure che avrei definito come “irraggiungibili”. Troppo fighi, troppo bravi. Oggi invece sorrido pensando a quanto li avevo sopravvalutati.

Ma adesso che vi ho detto la mia, passo la parola al mitico Paolo. Vi ripropongo qualche highlights della nostra ultima chiacchierata fatta proprio a Varese nel suo negozio dove abbiamo presentato il suo nuovissimo libro.

E ora, prima di salutarci, ricordatevi di seguire anche il mio canale Telegram o se preferite il mondo dei video c’è anche il mio account su TikTok. Trovate tutti i link qui sotto.

Grazie infinite per il tempo che mi avete dedicato. Ci vediamo al prossimo video!

Quattro traslochi. Quattro. Prima di riuscire a mettere in piedi il mio nuovo studio, negli ultimi tre anni, ho dovuto vivere e lavorare come un nomade digitale. Ma finalmente sono riuscito a condensare tutto quello che desideravo all’interno dello stesso ambiente. Con una caratteristica di base a cui tenevo tantissimo: il massimo della sostenibilità ambientale.

Ciao ragazzi, ho pensato di raccontarvi com’è nato e com’è stato realizzato il mio nuovo studio che condensa al suo interno un ufficio, una sala registrazione audio e video, una libreria, un piccolo laboratorio, un’area per l’housing dell’hardware, una coltivazione di piante indoor e anche una mini palestra per il raw training.

E allora pronti-via, andiamo a vedere come sono stati pensati gli spazi e come sono stati realizzati i diversi ambienti.

La struttura complessiva e l’organizzazione dei suoi spazi

Per mesi e mesi ho analizzato e progettato diversi ambienti per cercare di capire quale fosse la soluzione migliore. Avevo bisogno di legare attività molto diverse: il classico ufficio, una sala registrazione, uno spazio per poter fare qualche prova più “fisica” su qualche componente e anche una mini palestra perché ho da sempre avuto la fissa dell’home fitness in versione raw training.

Il problema principale era capire se potesse esistere una spazio delle giuste dimensioni in grado di essere così modulare, mantenendo però contemporaneamente caratteristiche sostenibili sotto il profilo ambientale, logistico ed economico.

Per farla breve, sarebbe stato semplicissimo prendere una stanza enorme e farla arredare da un super architetto, ma avrebbe avuto costi esagerati e una bassa propensione alla sostenibilità visto l’aggravio di consumi energetici.

La sfida era trovare qualcosa che fosse:

  • grande, ma non troppo calcolando al millimetro la dimensione richiesta da ogni attività
  • geograficamente vicina ai miei affetti (mamma e fidanzata)
  • energeticamente di ultima generazione
  • non esageratamente cara sotto il profilo economico

Alla fine ho trovato una struttura ancora in costruzione, personalizzabile sotto alcuni aspetti, con impiantistica d’avanguardia, logisticamente ai piedi dei colli Euganei e fortunatamente alla portata del mio portafoglio. La dimensione? 28 metri quadrati che gestiti sapientemente hanno rappresentato lo spazio ideale.

Ultima considerazione rapidissima: non devo ricevere nessuno dall’esterno, primo perché ormai lavoro completamente da remoto e secondo perché condivido una sala riunioni e formazione con un altro team di professionisti.

Ufficio e sala registrazione per il videomaking, il podcasting e il livestreaming

Il primo step ovviamente era organizzare il cuore pulsante del lavoro ovvero zona ufficio e area di registrazione audio e video. Ho scelto una scrivania di 240 x 80 cm dotata di ruote e con la possibilità di rendere verticale il piano di lavoro. Questo mi ha permesso di creare uno spazio dedicato al lavoro quotidiano (circa 150 cm), ma al tempo stesso di avere un’area della scrivania dedicata al brainstorming su fogli di carta infiniti o per piccole registrazione verticali (circa 90 cm di spazio).

Ovviamente il tutto è stato reso possibile con attrezzatura informatica di vario genere costituita prevalentemente da prodotti Apple ed Elgato.

La scrivania è appoggiata lateralmente ad una finestra di dimensioni generose sia per sfruttare la luce e sia per poter guardare il paesaggio nei momenti di pausa, costituito da alberi e un castello medievale.

Il fondale invece è lontano circa 400 cm per permettermi di gestire la profondità di campo della macchina da ripresa in base alle esigenze del singolo video o della singola live, sempre tenendo presente che tutta la scrivania è facile da spostare grazie alle ruote ed è quindi possibile allontanare o avvicinare il fondale.

Un laboratorio espandibile all’occorrenza

Non sono un amante delle video recensioni, ma volevo riservare anche uno spazio per bricolage e piccoli lavori o test su prodotti fisici. Però volevo a tutti i costi che fosse qualcosa a scomparsa in modo tale da occupare spazio zero nel momento in cui non ne avessi bisogno.

Grazie a una soluzione di arredamento dell’Ikea sono riuscito a ricavarmi un tavolino di circa 80 cm per lato richiudibile in meno di 3 secondi netti. Inoltre è posizionato in fianco alla scrivania principale che ancora una volta grazie alle ruote può avvicinarsi e diventare un’ulteriore estensione.

Naturalmente sopra al tavolino ho predisposto luci, attrezzature di ricarica e anche supporti per poter agganciare braccia estensibili multiuso.

L’immancabile libreria personale e una mini sala cinema

Che mi piaccia scrivere non è un segreto. Il fatto che mi piaccia leggere forse è meno risaputo. In realtà adoro le letture fantasy, le biografie e ovviamente i libri a tema business e marketing. Ma non mi faccio neanche mancare cose più “frivole” come fumetti (soprattutto su Paperino e Paperinik) e gli storici libri game. Così ho destinato uno spazio per la libreria in modo che possa crescere nel tempo.

Mi sembrava anacronistico però non prevedere uno spazio cinefilo. Così ho messo alle mie spalle un videoproiettore full HD lasciando il muro davanti a me bianco e sgombro. In questo modo posso ricreare l’atmosfera del cinema anche grazie ad un set di luci e cuffie particolari.

Un armadio rack home made per contenere tutto l’hardware

Non è certamente un argomento emozionante, ma da qualche parte tutta l’attrezzatura che potremmo definire “di rete” dovevo pur metterla. Detesto il disordine, l’incuria e la sporcizia e gli apparati come router, nas e simili sono delle calamite per la polvere.

Così ho pensato di ricavare circa 3 metri quadrati di incasso nel muro per posizionare un armadio rack e una sorta di magazzino per la palestra. Per l’armadio ho utilizzato sempre arredamento sostenibile di legno abbastanza grande da contenere anche tutta l’attrezzatura di sicurezza degli impianti antifurto e videosorveglianza.

Una piccola coltivazione indoor di piante aromatiche e officinali

Non ho neanche uno sputo di giardino. Compenso con un bel terrazzo generoso, ma volevo comunque del verde anche dentro al mio ambiente di lavoro. Così ho realizzato un piccolo sogno nel cassetto, ovvero un orto indoor.

Avevo ipotizzato e anche studiato i sistemi di coltura idroponica, ma in breve tempo ho abbandonato il progetto perché auto produrlo vi assicuro è un casino allucinante e comprare sistemi già pronti costa un botto e usciva dal mio budget. Così sono rimasto sul tradizionale sistema geoponico e ho acquistato solo dei vasetti decenti e carini che avessero dei fori sufficienti per non creare ristagno.

Ho trovato anche un sistema modulare di luci in grado di far crescere le classiche piante officinali e quelle aromatiche. Con le prime produco infusi e liquore fatto in casa mentre con le seconde ho sempre erbe fresche quando cucino.

Per avere ancora più verde e assecondare la mia passione per la montagna ho costruito delle pareti verticali di muschio e ogni tanto nebulizzo un olio essenziale al profumo di cirmolo.

Una piccola palestra modulare per diventare il king del corpo libero

Tenermi in forma è un altro mio trip. Se una volta avevo anche uno spirito diciamo agonistico adesso è pura esigenza salutistica. E per cercare di raggiungere degli obiettivi minimi mi sono appassionato al raw training e al corpo libero in generale. Tutte attività che prevedono un allenamento di tipo “home fitness” con attrezzi essenziali e prevalenza di corpo libero.

Così ho acquistato le kettlebell, una struttura di parallele e scomponendo alcuni componenti dell’Ikea ho anche costruito una mini torre multifunzione. Per finire ho anche ricavato lo spazio per tenere da parte l’attrezzatura da nordic walking che pratico nella campagna e nei colli limitrofi con diverse tipologie di bastoni.

Il tutto naturalmente può essere espanso o ricompresso in base alle esigenze di spazio e allenamento del momento all’interno della stanza.

La sostenibilità ambientale come priorità su ogni scelta

Anche se oggi si parla tanto di green e sostenibilità ambientale, non è sempre semplice trovare prodotti che rispettino veramente la natura. Ma alcune scelte pratiche e tecnologiche mi hanno permesso di raggiungere anche questo obiettivo:

  • Arredamento realizzato da fonti green, praticamente tutto in legno di pino
  • Componentistica elettronica in classe A soprattutto per quello che riguarda le luci
  • Riscaldamento e raffrescamento a pavimento e ricircolo dell’aria con filtraggio VOC
  • Alimentazione esclusivamente elettrica con fotovoltaico e sistema di accumulo

Un tocco personale finale

Non poteva mancare un ultimo tocco personale che ricordasse una passione tipicamente veneta. Sto parlando ovviamente del buon vino. Così ho realizzato una mini cantina per ospitare le bottiglie da aprire in buona compagnia e anche quelle che invece preferisco collezionare.

Ne cito solo due perché hanno anche un valore affettivo: un Barolo Riserva del 1969 e un Amarone Bertani del 1978. Entrambe decisamente più vecchie di me.

E ora, prima di salutarci, ricordatevi di seguire anche il mio canale Telegram o se preferite il mondo dei video c’è anche il mio account su TikTok. Trovate tutti i link qui sotto.

Grazie infinite per il tempo che mi avete dedicato. Ci vediamo al prossimo video!